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Racconto finalista di "Parole in Corsa 2009"

È un attimo. Con una mano mi spinge fuori e con l’altra ha già chiuso la porta alle mie spalle. Uno sbuffo d’aria sulla nuca. Puff. Ecco fatto. Signore e signori, mi ha cacciato di casa. Pensavo peggio.
Ed ora
Mi metto a bussare come un pazzo aspettando che mi riapra? Non è il caso, che figura con i vicini. E poi questa volta l’ho fatta grossa. Non che le altre volte siano state da meno, ma quando ti scopre significa che la colpa è tua.
E te la devi tenere.
E me la terrò.
Non busso e aspetto che mi lanci dietro la borsa con la mia roba. Almeno uno zainetto. Succede sempre così, l’ho visto in tanti di quei film, di quelli che piacciono a lei. Sex and the city e pretty woman e Rupert Everett e Julia Roberts e Hugh Grent che non so nemmeno come si scrive e tutte quelle ridicole commedie rosa che ho tollerato a causa sua. È una scenata cui una donna non può resistere. Sai che risate domani quando lo racconterà alle amiche della palestra. Tutte occhi spalancati e gridolini, le signorine. Spero mi metta dentro una camicia ed almeno un paio di scarpe. Lei mi starà guardando dallo spioncino adesso. Mi vuole mesto e afflitto. La situazione mi vuole mesto e afflitto.
E cos’è il mio viso se non la smorfia esatta dell’infedele roso dai rimorsi, il meschino arso dal senso di colpa? Guardami. Guardami, piccola: che pena.
Non so se far sbocciare anche una lacrimuccia, ma potrebbero essersi seccate da tempo. Allora decido di no, è più nobile soffrire senza lacrime.
È il rimorso che me le asciuga, baby. Lo sai anche tu, vero? Guardami mentre mi siedo sul gradino del pianerottolo.
Lo sai, piccola, il freddo che ho dentro il petto ghiaccia più del marmo che ho sotto il culo?
Lo sai, baby, e allora se lo sai apri e lanciami questa dannata borsa.

E secondo te che ha fatto?
L’ha lanciata. Chiaro.
Zero. Sono rimasto seduto su quello scalino un’ora sana. Niente.
Oggesù.
Senti devi prestarmi una camicia e un paio di scarpe.
Chiaro, ora te le porto. Ma documenti, soldi, hai tutto, no?
A sì? Perché tu a casa tua giri con il portafoglio e i documenti in tasca vero? Io invece ho un pantalone della tuta e una maglietta da casa. E tu lo sai come sono le magliette da casa. Già è tanto che ho il cellulare. E si sta pure scaricando la batteria.
Il tempo di passare a casa e vengo a prenderti.
Tu intanto chiamala, cerca di risolvere.
Ok, ciao.
Fai presto, ti prego.
Corro, ciao.
Clic.
Ah, grazie.

Si fa presto a dire chiamala. Non posso chiamarla. Quella mi pianta un casino di due ore. È capace di partire dalle guerre puniche per scaricarmi le colpe dei padri dei padri dei padri dell’uomo. Mi polverizza il credito. Meglio il citofono.?Al citofono la sua voce è gracchiante, spero non lo sia anche la mia. La mia dev’essere dolce e suadente e calda e affabile e bella e tenera e.
Devo.
Ammorbidirla.
Si capisce che lei non vuole essere ammorbidita. Urla peggio di una gattara isterica. È tutto un tourbillon di non farti più vedere, vai al diavolo, viscidosporcolosco dimmerda appresso a te ho buttato dueannidue nel. Eccetera.
Aspetto una pausa, di solito ce ne dovrebbe essere una di rito per il pianto convulso. Vorrei approfittarne per incastrare i miei sì ma io, fragolina cerca di ragionare, guarda le cose in maniera diversa eccetera. Impossibile, è una macchina. Il robocop del rancore. Non conosce tregua. D’un tratto, deve andare: il fuoco che ha appiccato alla mia roba rischia di scatenarsi anche contro le piante in balcone. Riattacca. Ricitofono. Ricitofono. Ricitofono. Risponde.
Che stai facendo, non fare la pazza. Muta.
Che è sta storia del fuoco. Muta.
No guarda ora mi fai incazzare veramente. Muta.
Almeno lanciami le scarpe. Stronzo. Riattacca.

Le scarpe che mi porta sono strette. Mi chiedo perché tra tanti sono andato a chiamare proprio l’amico dal piede fanciullo. In ogni caso c’è poco da fare le contessine, accartoccio il piede e me le infilo.
Grazie, te l'ho detto anche prima al telefono, ma avevi già attaccato.
Figurati. Mettiti anche una mia maglietta che questa che hai è uno scandalo. Ché, le rubi ai barboni?
Sai com’è, sapendo che venivo qui mi sono adeguato. Questi sono gli amici, signori. Gli amici maschi. Non fanno moine, non piangono, ridono di ogni tragedia. Anche dell'ignobile maglietta che sarai costretto a mostrare al mondo intero il giorno in cui ti cacceranno via di casa.
Imparate. Con un amico maschio si può affrontare quasi tutto. Di sicuro sento di poter affrontare l’esser via di casa di punto in bianco.
E per lei: pazienza, ne verranno altre. Le donne non sono mai mancate. Gli amici, invece. Loro restano gli stessi. Se a 16 anni hai qualcuno che ti siede dietro sul motorino e canta con te a squarciagola, quello sarà l’amico di una vita. Puoi non sentirli per mesi, quando li chiami è come se vi foste visti il giorno prima. Bello.
Senti, stasera dovrei restare da te.
Chiaro. Ti lascio le chiavi, io non ci sono.
Al solito. Qualche situazioncina per le mani?
C’è una. Dice che è riuscita a cacciare il tipo, finalmente posso dormire da lei.
Ah.